DESCRIZIONE E PRINCIPALI ESIGENZE ECOLOGICHE Nell’area carsica sono presenti prati da sfalcio di tipo piuttosto xerico che si sviluppano nelle aree pianeggianti, su suoli profondi con massima concentrazione nelle prossimità dei paesi. A questo tipo principale si accompagna un aspetto più fresco e mesico dei fondi di dolina su profondi accumuli di terre rosse. L’aspetto tipico del tavolato è stato descritto come Anthoxantho Brometum erecti e rappresenta quasi una transizione fra la classe della landa carsica (Festuco-Brometea) e quella dei prati stabili in senso stretto (Molinio- Arrhenateretea). L’ultima revisione su questo tipo di habitat, attribuisce questi prati proprio a quest’ultima classe ma con una forte presenza di specie xeriche. Gli arrenatereti delle doline invece perdono molte delle specie più xeriche e si arricchiscono di specie tipicamente mesofile tanto da essere riferiti alla subass. holcetosum lanati dell’associazione Centaureo carniolicae-Arrhenatheretum elatioris, presente in tutta l’Italia settentrionale. A livello di habitat FVG, anche per una coerenza gestionale, sono mantenuti entrambi dentro PM1. Si tratta in ogni caso di praterie che sono regolate dallo sfalcio e da eventuale arricchimento di nutrienti (concimazione animale) e che si trovano in differente stato diconservazione. In effetti solo quelli più prossimi ai borghi carsici e quindi facilmente accessibili sono ancor oggi soggetti a sfalcio e ciò permette una giusta composizione floristica ed una relazione fra le specie garantita dai fenomeni competitivi. I piccoli lembi dei fondi delle doline invece si trovano speso in fase di incespugliamento da parte di Prunus spinosa. In alcuni casi questi prati sono sottoposti a pascolo equino e diventa molto difficile individuarne la flora originaria e garantirne l’attribuzione a PM1. Fra i sistemi di prati da sfalcio più significativi si possono ricordare quelli di Draga Santa Elia, Basovizza, Gropada, Trebiciano, Opicina Campagna, Zolla di Monrupino, Rupingrande, Sgonico, Malchina, Ceroglie, e dell’area del Vallone di Gorizia (Oriolo et al., 2009). |